Si chiama “colibrì”, ma, a dispetto del nome, ha pesanti ripercussioni sul modo di fare SEO. È il nuovo algoritmo di Google, Hummingbird (“colibrì” in inglese, appunto), lanciato l’anno scorso.
Il cambiamento è radicale: se Panda e Penguin erano soltanto aggiornamenti di un sistema che, nel complesso, rimaneva lo stesso, Hummingbird è un algoritmo tutto nuovo. Certo, alcuni degli aspetti di Panda e Penguin rimarranno ancora validi, ma con il nuovo algoritmo si apre un nuovo corso per il colosso di Mountain View. E per la SEO.
Il re è il contenuto? No, è l’utente.
Panda e Penguin avevano decretato la fine definitiva dei testi scritti soltanto per i motori di ricerca. L’ossessione per le parole chiave — che portava qualcuno a creare semplici liste, soprattutto nelle description — non avrebbe dato più nessun frutto; l’attenzione avrebbe dovuto essere rivolta invece alla qualità, alla descrizione discorsiva delle pagine, ai contenuti lunghi e dettagliati.
Con Hummingbird, si fa un ulteriore passo in avanti. Le buone pratiche richieste dai precedenti aggiornamenti devono ancora essere seguite, ma al centro degli interessi di Google c’è, ora più che mai, l’utente, e le sue preferenze. Insomma, se una volta si diceva che “il re è il contenuto” — cosa che, nella sua degenerazione, ha dato vita al micidiale fenomeno delle “content farm” — ora lo scettro è passato alla persona in carne e ossa che fa una ricerca: il nuovo re è l’utente.
Allora diciamo addio — o quasi — alle mere combinazioni di termini: ultimamente, le parole chiave stanno diventando sempre più discorsive, e gli utenti tendono a iniziare la loro ricerca con le famose cinque W del giornalismo, what (“cosa faccio quando piove?”), who (“chi ha inventato la pizza?”), when (“quando si piantano i pomodori?”), why (“perché il gatto fa le fusa?”), where (“dove si comprano i coloranti alimentari?”).
Se non avessimo scrupoli a usare termini abusati, diremmo che si tratta di una rivoluzione. La SEO, prima di Hummingbird, si faceva per attrarre; ora si fa per attrarre ma soprattutto per trattenere. L’utente vuole leggere, e trovare, qualcosa che possa anche condividere su Facebook, Twitter e le sue altre reti sociali. Il contenuto che si aspetta dev’essere dunque di alta qualità: dev’essere informazione, soluzione a un problema, invito all’acquisto. Contemporaneamente, se possibile.
La coda lunga scodinzola
Il posizionamento per parole chiave generiche è morto. L’hanno seppellito gli utenti, che al motore di ricerca tendono a fare domande, e non parlano più a monosillabi. E allora, tanto per fare un esempio, un’azienda che produce materassi ad acqua per alberghi ad ore e che volesse posizionarsi per “materassi” perché “porta più traffico”, andrebbe incontro a un fallimento annunciato, perché così si attirano visite di bassissima qualità, e utenti poco o per nulla interessati al prodotto. Statistiche piene dunque, ma casse vuote.
Google ci dice invece che bisogna scavare una bella nicchia e collocarvi il prodotto: fuor di metafora, è necessario lavorare su parole chiave specifiche, per andare incontro agli specifici desideri degli utenti, e sui sinonimi. Il contenuto va diversificato il più possibile, ricordando sempre che il testo che scriviamo lo deve leggere un possibile cliente, non il motore di ricerca.
Link building: dimmi con chi vai (e chi ti cita), e ti dirò chi sei
Un prodotto, un’idea si diffonde perché ha successo. Google ora la pensa così anche per il tuo sito. Se scrivi bei contenuti, capaci di generare un gran numero di citazioni spontanee, allora il motore di ricerca darà grande risalto al tuo sito. Se invece punti a costruire una rete di collegamenti artificiale, affidandoti a siti creati apposta per la SEO, allora la tua reputazione cala. Così sono capaci tutti, sembra dire Google: datti da fare e crea contenuti degni di essere condivisi.
Lo stesso buon senso si ritrova in un’altra caratteristica del nuovo algoritmo, la co-citazione: un’azienda è considerata una valida rappresentante di un certo settore se è citata insieme ad altre aziende già autorevoli. Questo condiziona il posizionamento del sito: se il marchio A, un nuovo ingresso nel mercato, è citato insieme al marchio B, Google considera il marchio A un “collega” del marchio B e tenderà a mostrare il suo sito assieme a quello del marchio B.
Mostra ciò che sai
Hummingbird ci insegna che non possiamo più trascurare i contenuti. Le parole chiave non bastano più: occorre dare valore al contenuto che scriviamo. La regola numero uno è questa: scrivi ciò che vorresti fosse scritto per te. Leggeresti mai il testo che scrivi? Se la risposta è no, hai sbagliato strada. Sul tuo sito non ci finirà solo lo spider di Google, ma anche — anzi: soprattutto — molti utenti che sperano di trovarci qualcosa di utile e interessante.
La dedizione che mostreremo nello scrivere i contenuti del nostro sito ci porterà dritti dritti al principio della reciprocità descritto dallo psicologo americano Robert Cialdini nel suo “Le armi della persuasione”: diamo al pubblico, gratuitamente, informazioni preziose, e ne riceveremo in cambio la fedeltà al nostro marchio.
FONTE: “PANDA, PENGUIN, HUMMINGBIRD: Google changes its algos again — so you’d better get your site ready!”